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“Contro i dazi, aiuti alle imprese, più competitività in Europa, meno burocrazia asfissiante. Subito i bandi della Regione”

Se è troppo presto per valutare e quantificare le effettive ricadute dei dazi dell’Amministrazione Trump sulle specializzazioni produttive della Basilicata, le nuove politiche commerciali USA impongono all’Europa di ripensare le proprie strategie per la competitività. Mercato unico dell’energia, dei capitali e armonizzazione fiscale sono sfide che non possono più attendere. Dobbiamo liberarci, inoltre, da quella eccessiva regolamentazione che, in molti ambiti, ostacola la crescita. Il Green deal è un dazio autoinflitto. I meccanismi ETS e CBAM sono diventati strumenti speculativi e vere e proprie tasse inique sulle imprese“. 

E’ l’analisi del presidente Francesco Somma in un intervento pubblicato dal Quotidiano della Basilicata “L’altra Voce”. “In attesa di capire le reali intenzioni del presidente USA dopo lo stop nnuncitao di 90 giorni e l’evoluzione dei rapporti internazionali, è necessario rivedere le strategie commerciali, diversificare i mercati e pensare a strumenti per sostenere le imprese che sarebbero maggiormente colpite dalle nuove imposte. Penso, a esempio, a strumenti di super ammortamento rispetto a tutti gli investimenti produttivi. Al contempo, la Regione Basilicata deve far partire nell’immediato i bandi annunciati a gennaio“. Per il presidente Somma, “per tempi straordinari occorrono risposte straordinarie“. E in questo momento, “per gli imprenditori lucani è prioritario accedere alle opportunità degli incentivi previsti dagli avvisi pubblici e farlo in tempi record”.

Di seguito l’intervento integrale del presidente Somma:

Le continue emergenze che si stanno susseguendo in questi anni e che si sono imposte con forza sulle dinamiche della crescita, stravolgendo equilibri e disegnando nuove traiettorie, ci insegnano che la cautela è d’obbligo prima di cedere alla facile tentazione di profezie apocalittiche. Se siamo di fronte a una nuova pandemia commerciale, dopo aver già vissuto quella sanitaria ed energetica, lo si capirà nei prossimi mesi, con la concreta applicazione delle imposte sui vari prodotti e, soprattutto, quando saranno più chiare le reali intenzioni dell’amministrazione USA e l’evoluzione delle tensioni internazionali.

Se è presto per gridare al disastro, la svolta aggressiva delle politiche commerciali di Washington ha innescato una pericolosa spirale di paura e incertezza che, oltre a mettere al tappeto le Borse, si va propagando anche sui territori e non risparmia le nostre imprese. Due tra i più principali eventi fieristici internazionali del nostro Paese, in svolgimento proprio in questi giorni con una importante partecipazione delle imprese lucane – il Salone del Mobile e il Vinitaly – sono la fedele cartina al tornasole della corsa a rivedere strategie commerciali e individuare mercati alternativi.

Mobile Imbottito e Agroindustria rappresentano sicuramente due filiere particolarmente rilevanti dell’economia lucana e molto esposte alle conseguenze dei dazi. Per entrambe, gli Stati Uniti rappresentano significativi mercati di riferimento con percentuali di prodotti rivolti Oltreoceano che mediamente, per quello che riguarda le aziende che fanno riferimento a Confindustria Basilicata, si aggirano tra il 15 e il 20. Una considerazione specifica a parte va fatta per la produzione automobilistica. Negli anni passati, l’export di mezzi di trasporto verso gli USA è stato pari a circa un terzo del valore complessivo di tutte le esportazioni lucane. A condizioni invariate, i dazi sull’auto al 25 per cento già entrati in vigore lo scorso 2 aprile avrebbero inciso notevolmente sul comparto.  Ma, com’è noto, la produzione automobilistica lucana è già caduta su un altro campo di battaglia. Un catastrofico 2024 si è chiuso con un – 98,17 per cento per le macchine made in Basilicata vendute nel Nord America. La produzione decimata di Stellantis a Melfi, per ora, dunque, non è interessata in maniera diretta dalla guerra dei dazi. Certamente, nello scenario di un perdurante conflitto commerciale, non si possono escludere ripercussioni negative sull’auspicato rilancio, già di per sé complesso, dello stabilimento lucano e del suo indotto nei prossimi anni.

A eccezione del boom dell’agroalimentare, il 2024 è stato un anno complesso anche per altri settori importanti della nostra economia, come la farmaceutica, la chimica e la meccanica di precisione. In particolare per quello che riguarda la produzione farmaceutica che per ora ha ottenuto una tregua temporanea, si attendono con ansia le prossime determinazioni americane, dal momento che rimane in piedi l’ipotesi di nuove tariffe specifiche.

Ma, al di là dell’analisi sui singoli comparti, nessuno può considerarsi al riparo dagli effetti indiretti che si riverbereranno a cascata su tutti i comparti.

E a destare particolare preoccupazione è soprattutto l’ipotesi di alcune aziende che nel lungo periodo potrebbero decidere di effettuare o rafforzare investimenti negli Stati Uniti per evitare i dazi, con danni notevoli anche in termini di occupazione. Anche perché la zampata americana affonda gli artigli in un’Europa già di per sé assai fragile che, mentre non riesce ancora a far camminare a ritmo più veloce le aree in ritardo di sviluppo, vede rallentare anche le sue punte avanzate. I dazi USA fanno suonare l’ennesima sveglia: l’UE deve affrontare i nodi irrisolti della competitività, della sburocratizzazione, dell’energia.

Mercato unico dell’energia, dei capitali e armonizzazione fiscale sono sfide che non possono più attendere.

L’eccessiva regolamentazione che risponde esclusivamente a ragioni ideologiche soffoca la crescita. Il green deal che detta per leggi i tempi della transizione è un vero e proprio dazio sulla tenuta economica e sociale che rischia di mettere in ginocchio filiere strategiche. I meccanismi ETS e CBAM sono diventati strumenti speculativi e vere e proprie tasse inique sulle imprese.

Il PNRR ha spinto un certo rilancio del Mezzogiorno, ma solo in parte, come dimostra il rallentamento registrato nel 2024, dopo le performance positive degli anni precedenti. Non solo perché molti dei progetti del Piano non potranno mai vedere la luce entro il 2026, ma soprattutto perché mancano ancora le tanto attese riforme. La proposta di Confindustria, rilanciata proprio in queste ore dalla Presidente del Consiglio, Meloni, va nella direzione di destinare le risorse derivanti dalla riprogrammazione del PNRR verso le realtà produttive maggiormente danneggiate dai dazi. Anche questa nuova scossa può essere un’occasione per spingere la riconversione produttiva, necessaria soprattutto al Sud per due motivi: è qui che c’è un grande potenziale di crescita ancora da liberare ed è sempre qui che investire conviene al Paese di più che altrove.  Accanto a una manifattura ancora contraddistinta da elementi di fragilità quali questione dimensionale, tenuta occupazionale, densità debole di eccellenze produttive, si fanno sempre più largo realtà imprenditoriali più strutturate che, combinando flessibilità, specializzazione ed economie di scala, elevato tasso di innovazione e maggiore know how, si dimostrano più resilienti. Un recente studio SRM sulla capacità del manifatturiero di attivare l’economia dimostra come per 100 euro di spesa in una regione del Mezzogiorno, il valore aggiunto generato a livello nazionale è maggiore al dato medio italiano. E, a sorpresa, il moltiplicatore è più elevato in Basilicata.

L’emergenza, in questo momento, è compensare i gravi danni derivanti dai dazi, ripensando le rotte commerciali e adottando strumenti di sostegno alle imprese che potrebbero derivare, a esempio, da strumenti di super ammortamento rispetto a tutti gli investimenti produttivi. Al contempo, però, non va lasciata in secondo piano l’esigenza viva di un piano di rilancio della competitività, europea e nazionale, che non può prescindere dal Mezzogiorno.

Abbiamo un doppio binario da percorrere: sviluppare vere e proprie filiere strutturate e diversificate rispetto alle eccellenze emergenti, e assicurare il sostegno alla resilienza del tessuto economico esistente.

Ci sono grandi traiettorie da agganciare come transizione digitale, ecologica e, in particolare, quella energetica che rappresenta, per il Mezzogiorno e soprattutto per la Basilicata, un grande bacino di opportunità anche in funzione della nostra posizione geografica al centro del Mediterraneo, crocevia degli scambi commerciali.  Il Piano Mattei, a cui il Governo sta riservando grande attenzione, offre una possibile cornice in cui realizzare appieno questo protagonismo, a patto di essere attori direttamente coinvolti nello sviluppo di tutte le filiere connesse e non solo territorio di attraversamento. Dalla cooperazione con i Paesi africani possono derivare anche importanti risposte al grave problema del gap di competenze, oltre a contrastare il grande problema dello spopolamento.

Non sarà facile trovare soluzioni efficaci alle sfide demografiche che più di tutte le altre minacciano la tenuta sociale della nostra regione, con implicazioni economiche molto più pesanti di quanto si pensi. Indirizzare tutte le risorse disponibili verso gli investimenti produttivi legati alle transizioni, favorire l’insediamento di grandi imprese capo filiera, puntare su investimenti in infrastrutture – fisiche, digitali e sociali – individuare priorità nell’ambito della logistica e puntare su un piano straordinario per l’innalzamento delle competenze sono alcune delle priorità che dovranno animare il piano strategico auspicato, ispirato a una chiara visione di futuro.

Ma siamo noi lucani i primi artefici del nostro destino. In attesa delle necessarie misure che si stanno vagliando a Bruxelles come a Roma per sostenere la competitività e le imprese, è importante che la Regione Basilicata faccia partire nell’immediato i bandi annunciati a gennaio di cui gli imprenditori sono in positiva e trepida attesa.  Per tempi straordinari occorrono risposte straordinarie. E in questo momento per gli imprenditori lucani è prioritario accedere alle opportunità degli incentivi previsti dagli avvisi pubblici e farlo in tempi record. Se a Trump sono bastate poche ore e qualche ordine esecutivo per stravolgere gli equilibri commerciali globali, il male cronico della lentocrazia è il primo dazio da combattere a casa nostra.

INTERVENTO 10 APRILE